Italo Testa
Struttura individuale e mimetica della dialettica
(Seminario di teoria critica, 11.01.2001)
In vista della discussione del testo Individuum und Staat all’interno del seminario di teoria critica, intendo dapprima fornire uno schema dell’argomentazione di Adorno, individuando i concetti principali; quindi segnalerò alcune questioni rilevanti rispetto all’impegno teorico del nostro seminario.
A) Argomentazione
1) Autoconservazione e autorealizzazione. Il problema del rapporto tra individuo e Stato esiste da quando "l’organizzazione degli uomini si è contrapposta alla loro immediata vita in comune come qualcosa di relativamente indipendente" (p. 120). Questa è una premessa per un’analisi che è volta ad individuare l’origine antropologica e lo sviluppo storico del conflitto tra individuo e Stato. Dal punto di vista antropologico la società organizzata – di cui lo Stato rappresenta la forma istituzionalizzata - è un elemento necessario per l’autoconservazione individuale e collettiva. Dunque l’organizzazione - coincidendo con la razionalità strumentale, di cui è l’espressione oggettiva - è intrinseca alla stessa struttura antropologica dei singoli membri della specie, in quanto questi sperimentano in sé una spinta all’autoconservazione. La differenziazione individuale dei singoli membri della specie sorge per altro verso dal fatto che essi possono avvertire nell’organizzazione un limite rispetto alla soddisfazione dei loro impulsi: l’individuazione è dunque connotata in termini critici, consistendo nel formarsi di una "opposizione degli individui a tale rinuncia". Ciò è determinato dal fatto che i singoli possono avvertire in sé oltre ad una spinta all’autoconservazione anche una spinta all’autorealizzazione, che dal punto di vista psicologico elementare assume la forma del principio di piacere.
2) Intersoggettività strumentale e autorealizzativa. Non si deve però credere che tale dialettica sia innestata dalla tensione tra un principio d’autoconservazione che si esplica in una forma di razionalità strumentale organizzata socialmente – dunque intersoggettiva - e un principio di piacere intrinsecamente egologico, in ciò semplicemente erede del modello soggettivistico utilizzato dalla metapsicologia freudiana per comprendere le pulsioni. Infatti, l’articolazione sociale della stessa spinta pulsionale emerge quando Adorno, in più punti, si sofferma sugli aspetti positivi della città-Stato antica: l’"unità trasparente tra gli interessi degli individui e quelli della comunità statale" (p. 121) che in essa poteva realizzarsi, riguardava non solo il fatto che l’organizzazione, come complesso oggettivo della razionalità strumentale, rispondeva effettivamente agli scopi autoconservativi individuali e collettivi. Quell’unità trasparente riguardava anche il fatto che esistevano le condizioni perché la tensione individuale alla felicità e all’autorealizzazione trovasse soddisfazione nella "dimensione pubblica", negli affari pubblici: con la crisi delle città stato in età ellenistica "l’individuo ha perso a poco a poco contatto con quegli affari pubblici che inevitabilmente, per il loro stesso significato, toccano la felicità individuale".
3) Condizioni dell’estraniazione. Perché la tensione dialettica tra individuo e Stato diventa fonte di estraniazione bisogna dunque che si realizzino due condizioni: a) L’organizzazione si autonomizza rispetto agli scopi umani che dovrebbe perseguire – diventa qualcosa di "relativamente indipendente" – costituendosi come un sistema amministrativo che subordina a sé gli individui e persegue scopi potenzialmente irrazionali. Ciò è particolarmente rilevante nell’età moderna, quando il rafforzarsi della coesione sociale a tutti i livelli ha costituito un apparato statale di fronte al quale gli individui si sentono impotenti (p. 121); b) la seconda condizione, che è poi il correlato della prima, consiste nel fatto che il destino individuale, la spinta individuale alla felicità e all’autorealizzazione – come emerge chiaramente nell’ultima pagina del testo – non trova più un suo ambito di esplicazione nella dimensione pubblica. Entrambe le condizioni interessano l’età moderna e in particolare la storia tedesca, mentre in modo diverso, più felice, si pone il rapporto tra individuo e stato nei paesi anglosassoni.
4) Compito della teoria critica. Il compito delle scienze sociali critiche, all’indomani della guerra, consiste proprio nel promuovere la consapevolezza dei "veri legami che sussistono tra la dimensione pubblica e il destino individuale" (p. 124), il che significa, in positivo, promuovere la coscienza della necessità di "dar forma da se stessi al proprio stato" (p. 124).
B) Questioni.
Nell’introduzione alla sezione "Individui a Francoforte" ho cercato di mostrare in primo luogo come il rapporto individuo-Stato sia in un certo senso l’oggetto principale di una teoria critica della società e di fatto il filo conduttore di molte analisi francofortesi. In secondo luogo, ho sostenuto che il modello di una società che dia pieno svolgimento alle forze individuali rappresenta l’orizzonte normativo di tali analisi. In terzo luogo, ho sostenuto che la coscienza individuale è il terminus ad quem della comprensione che una teoria critica deve promuovere, e ciò in un duplice senso: perché è nella coscienza individuale, portata a riflettere su di sé, che può trovare luogo lo spirito di opposizione; e quindi, perché è solo con il formarsi di una coscienza individuale che è potuta sorgere l’idea di "un ordine razionale della sfera pubblica" (Individuum und Organisation, p. 139).
Vorrei partire da quest’ultimo punto per sollevare le due questioni che oggi intendo sottoporre alla vostra attenzione.
a) Relazione dialettica. La prima questione riguarda la natura e la genesi stessa della dialettica: l’ipotesi è che il conflitto individuo-organizzazione sia per Adorno la vera matrice antropologica e storica della dialettica, sia come sua radice oggettiva, che fa della dialettica un momento oggettivo di processi sociali e storici, che come sua radice soggettiva, nel senso che non si dà dialettica senza una posizione forte dell’individualità. Del resto, proprio nel testo che affrontiamo, la relazione individuo-Stato si rivela intrinsecamente dialettica, vale a dire come una relazione che si istituisce all’interno di una tensione oppositiva: "l’individuo e lo Stato non stanno solo in opposizione l’uno con l’altro, ma si condizionano reciprocamente" (p. 121). Con ciò si pone parimenti la questione se è possibile e sensato un ripensamento in chiave contemporanea della dialettica che espunga l’elemento dell’individualità, ridotta a mera evenienza, facendo affidamento solo sull’agire linguistico della cosa stessa: insomma, qui potrebbe emergere un limite della concezione gadameriana della dialettica, se è vero l’assunto adorniano per cui la matrice della dialettica sta nella tensione tra oggettivazione sociale e individuazione.
b) Intersoggettività. Mi sembra che da questi testi emerga abbastanza chiaramente che Adorno ha una teoria della costituzione intersoggettiva dell’individualità. Da questo punto di vista egli condivide il modello habermasiano dell’individuazione tramite socializzazione: non c’è una struttura dell’individualità precedente la socializzazione entro le sfere d’interazione; oggi ho cercato di mostrare come tale socializzazione investa l’intera sfera pulsionale, cioè sia la spinta autoconservativa che quella autorealizzativa. Da questo punto di vista si può cogliere un limite della critica di Habermas ad Adorno, volta ad identificare in questi una concezione coscienzialistica e soggettivistica.
A questo proposito voglio accennare a due questioni che riguardano il rapporto Adorno-Habermas, una relativa alla dimensione genetica dell’intersoggettività, la seconda relativa alla sua possibile dimensione normativa.
i) Socializzazione mimetica. Per quanto riguarda la genesi, non si tratta a mio avviso di contrapporre il modello meadiano-habermasiano dell’individuazione come socializzazione ad un modello adorniano dell’individualità di un qualche altro tipo (ad esempio ripensato in termini sistemici). La differenza sembra riguardare invece una concezione differente per quanto riguarda un meccanismo basilare della socializzazione individuante, cioè l’assunzione del ruolo dell’altro: Adorno – e qui vado necessariamente oltre il testo – mi sembra mettere a tema la dimensione mimetica che sostiene la possibilità dell’assunzione del ruolo dell’altro. In tal senso egli sviluppa una teoria mimetica della socializzazione, ove centrale diventa il concetto psicoanalitico di proiezione: e in tal senso, il luogo di elaborazione della teoria adorniana dell’intersoggettività sono probabilmente gli "Elementi dell’antisemitismo", ove viene indagato il meccanismo mimetico in quanto proiezione sull’altro di quell’insieme di pulsioni che sono censurate a livello individuale.
ii) Normatività. Sulla base di quanto affermato nel punto precedente, si dovrebbe concludere che Adorno ha una teoria pessimistica dell’intersoggettività, vista come il contesto genetico dell’orrore. Qui sembra esserci la più netta opposizione rispetto al tentativo habermasiano di ricavare proprio dalle regole di costituzione della dimensione intersoggettiva una sfera normativa di razionalità. Peraltro bisogna anche notare quanto segue: Adorno stesso determina in termini intersoggettivi quelle immagini, rare, che egli ci offre di uno stato conciliato. Questo è evidente nei passi citati che riguardano il nesso tra sfera pubblica e felicità individuale. Per avvicinare la posizione di Adorno propongo di leggere il seguente passo di Individuum und Organisation: "l’ordine razionale della sfera pubblica è rappresentabile soltanto se all’altro estremo, cioè nella coscienza individuale, viene risvegliata la resistenza contro l’organizzazione" (p. 139).
Con ciò Adorno mi sembra sostenere due tesi: I) non è possibile critica senza coscienza individuale; l’individualità è il presupposto fattuale della critica: anche ammesso che la criticità richieda come suo criterio un piano formale di norme, essa non può costituirsi se non si dà l’individualità, perché la critica nasce dalla resistenza individuale allo strapotere dell’organizzazione, ed è solo nella coscienza individuale che può venire ad espressione; II) l’individualità è in tal senso anche la condizione di possibilità dell’anticipazione di un ordine intersoggettivo razionale, in cui dimensione pubblica e agire individuale si compenetrano. Insomma, la criticità dell’individuo non funziona in termini egologico-idiosincratici, ma si collega all’anticipazione di una dimensione intersoggettiva conciliata: da questo punto di vista, la critica dell’organizzazione in quanto concrezione di un agire strumentale cieco, collega il movente pulsionale del principio di piacere con l’immagine di una intersoggettività partecipativa della vita pubblica. Però la vera garanzia della possibilità di tale anticipazione non sta nel fatto di potersi appellare a delle regole, quanto piuttosto nel fatto che ci siano degli individui dalla struttura sufficientemente autonoma per poter pensare quello stato di cose.