Theodor W. Adorno
Individuo e stato
Estratti da "La società degli individui", n. 9, 2000 - Traduzione di Italo Testa
Copyright La società degli individui
L'emancipazione sfrenata dell'individuo prepara il terreno alla sua oppressione] (…) Già nell'antichità si può poi trovare un modello della questione oggi più urgente per quanto riguarda il rapporto degli individui con lo Stato, vale a dire la loro estraneità allo Stato. A quanto mi risulta, Jacob Burckhardt ha per primo richiamato l'attenzione su ciò che, a partire dall'Ellenismo, accadde fondamentalmente tra le città-stato e i loro cittadini. Dal momento storico in cui la coscienza greca pose al centro il concetto di individuo e determinò la felicità di questi come il bene più alto, l'individuo ha a poco a poco perso contatto con quegli affari pubblici che inevitabilmente, per il loro stesso significato, toccano la felicità individuale. Ma, proprio nel corso di questo processo, gli individui dell'antichità si sono mostrati disponibili a prestare ubbidienza a tirannie e dittature, purché fosse in qualche modo preservato lo spazio ristretto della loro precaria felicità. Questo sviluppo non vale solo a partire dai tempi di Epicuro e della Stoa, bensì si profila già in Aristotele. Con un buon senso che di tanto in tanto ricorda stili di pensiero tipici del XIX secolo, Aristotele ha contrapposto i bisogni reali dei singoli all'utopia statale totalitaria del suo maestro Platone. Tuttavia egli non scorge più, come nonostante tutto accadeva ancora in Platone, l'idea più elevata nella realizzazione di questi bisogni attraverso le istituzioni razionali dello Stato. Al contrario, Aristotele considera il ritiro nel pensiero contemplativo come il più alto ideale. Con ciò si è già approdati ad una rassegnazione nei confronti della dimensione pubblica. Si delinea una profonda contraddizione nel rapporto tra individuo e Stato: quanto più l'individuo persegue senza limiti i propri interessi, tanto più esso perde di vista una forma di organizzazione sociale in cui questi interessi sono protetti. Attraverso la sua emancipazione sfrenata l'individuo prepara in un certo qual modo il terreno alla sua stessa oppressione. Un tale sviluppo non ha un effetto positivo sulla costituzione interna dell'individuo, piuttosto quest'ultimo si impoverisce e deperisce sempre più, quanto più si limita a se stesso e alla sua cerchia intima e si dimentica dell'universale (…).
[La questione dell'individuo e il compito delle scienze sociali nel dopoguerra] (…) L'appello a prendere parte alle vicende dello Stato non è in verità così vuoto come esso risuona alle orecchie degli uomini. In fin dei conti il proprio destino dipenderà effettivamente dalla coscienza della necessità di dare forma da se stessi al proprio Stato. La letargia nei confronti dello Stato non è una qualità naturale: al contrario essa viene meno non appena al popolo risulta chiaro che esso stesso è, in realtà, lo Stato e che quest'ultimo non costituisce per nulla un dominio specialistico della politica, amministrato da alcuni esperti per il resto dell'umanità. Per rinforzare questa vivente consapevolezza, è soprattutto importante risvegliare l'attenzione verso i veri legami che sussistono tra la dimensione pubblica e il destino individuale. La cecità del destino individuale deriva, in gran misura, dal fatto che gli individui si misconoscono come meri oggetti e non si sanno come assi portanti della storia. È necessario togliere quest'apparenza. Tra i compiti delle scienze sociali, che oggi in Germania partecipano al processo della ricostruzione, il più importante consiste forse nel promuovere la conoscenza del problema - insolubile in termini puramente istituzionali - del rapporto tra l'individuo e lo Stato, a partire dalla sua radice, dunque a partire dal processo vitale della società.
Individuo e stato
Estratti da "La società degli individui", n. 9, 2000 - Traduzione di Italo Testa
Copyright La società degli individui
L'emancipazione sfrenata dell'individuo prepara il terreno alla sua oppressione] (…) Già nell'antichità si può poi trovare un modello della questione oggi più urgente per quanto riguarda il rapporto degli individui con lo Stato, vale a dire la loro estraneità allo Stato. A quanto mi risulta, Jacob Burckhardt ha per primo richiamato l'attenzione su ciò che, a partire dall'Ellenismo, accadde fondamentalmente tra le città-stato e i loro cittadini. Dal momento storico in cui la coscienza greca pose al centro il concetto di individuo e determinò la felicità di questi come il bene più alto, l'individuo ha a poco a poco perso contatto con quegli affari pubblici che inevitabilmente, per il loro stesso significato, toccano la felicità individuale. Ma, proprio nel corso di questo processo, gli individui dell'antichità si sono mostrati disponibili a prestare ubbidienza a tirannie e dittature, purché fosse in qualche modo preservato lo spazio ristretto della loro precaria felicità. Questo sviluppo non vale solo a partire dai tempi di Epicuro e della Stoa, bensì si profila già in Aristotele. Con un buon senso che di tanto in tanto ricorda stili di pensiero tipici del XIX secolo, Aristotele ha contrapposto i bisogni reali dei singoli all'utopia statale totalitaria del suo maestro Platone. Tuttavia egli non scorge più, come nonostante tutto accadeva ancora in Platone, l'idea più elevata nella realizzazione di questi bisogni attraverso le istituzioni razionali dello Stato. Al contrario, Aristotele considera il ritiro nel pensiero contemplativo come il più alto ideale. Con ciò si è già approdati ad una rassegnazione nei confronti della dimensione pubblica. Si delinea una profonda contraddizione nel rapporto tra individuo e Stato: quanto più l'individuo persegue senza limiti i propri interessi, tanto più esso perde di vista una forma di organizzazione sociale in cui questi interessi sono protetti. Attraverso la sua emancipazione sfrenata l'individuo prepara in un certo qual modo il terreno alla sua stessa oppressione. Un tale sviluppo non ha un effetto positivo sulla costituzione interna dell'individuo, piuttosto quest'ultimo si impoverisce e deperisce sempre più, quanto più si limita a se stesso e alla sua cerchia intima e si dimentica dell'universale (…).
[La questione dell'individuo e il compito delle scienze sociali nel dopoguerra] (…) L'appello a prendere parte alle vicende dello Stato non è in verità così vuoto come esso risuona alle orecchie degli uomini. In fin dei conti il proprio destino dipenderà effettivamente dalla coscienza della necessità di dare forma da se stessi al proprio Stato. La letargia nei confronti dello Stato non è una qualità naturale: al contrario essa viene meno non appena al popolo risulta chiaro che esso stesso è, in realtà, lo Stato e che quest'ultimo non costituisce per nulla un dominio specialistico della politica, amministrato da alcuni esperti per il resto dell'umanità. Per rinforzare questa vivente consapevolezza, è soprattutto importante risvegliare l'attenzione verso i veri legami che sussistono tra la dimensione pubblica e il destino individuale. La cecità del destino individuale deriva, in gran misura, dal fatto che gli individui si misconoscono come meri oggetti e non si sanno come assi portanti della storia. È necessario togliere quest'apparenza. Tra i compiti delle scienze sociali, che oggi in Germania partecipano al processo della ricostruzione, il più importante consiste forse nel promuovere la conoscenza del problema - insolubile in termini puramente istituzionali - del rapporto tra l'individuo e lo Stato, a partire dalla sua radice, dunque a partire dal processo vitale della società.